Il quadro politico attuale
In questo mio intervento vorrei partire dalla situazione fanese. Non occorre
ripercorrete tutta la vicenda relativa all’ipotesi di Parco della
Foce del Metauro, ma è utile ricordare alcuni elementi chiave.
Il primo è che questa città, la terze delle Marche, non
ha né parchi naturali né parchi urbani. La storia politica
ci dice che sia il parco naturale del Metauro che il parco urbano al campo
di aviazione sono stati oggetto di forti vertenze nate dal basso. Queste
vertenze hanno fatto una grande fatica a trovare rappresentanza nelle
forze politiche, se non in alcune forze minoritarie. Tuttavia, nel tempo
si sono fatti alcuni passi in avanti, e per entrambi i parchi sono maturate
delle decisioni che lasciavano ben sperare.
L’elemento con cui oggi ci confrontiamo è che il cambio di
amministrazione a Fano ha cancellato entrambi i percorsi. Sappiamo cosa
sta succedendo sul parco urbano e anche cosa è successo sul parco
del Metauro, dove la giunta di Fano ha manifestato chiaramente la propria
contrarietà alla Regione, per evitare un conflitto con poteri consolidati
come quello delle associazioni venatorie, così come al campo di
aviazione si assecondano altri poteri forti. Queste scelte si inseriscono
in un quadro complessivo che definirei drammatico per le politiche ambientali
di questa città: qui era partito un percorso di Agenda21Locale
che è stato cancellato, si stava portando avanti a fatica una politica
di piste ciclabili che sono state annullate, si stava ragionando sulla
viabilità, anche con sperimentazioni ed errori, ma con impegno,
e si è tornati indietro… La giunta Carnaroli era sicuramente
carente sulle politiche ambientali, ma oggi siamo alla catastrofe.
La vicenda dei parchi è tanto più frustrante perché
in questi ultimi anni la Regione Marche in materia si è data un
orientamento molto limpido, ossia di istituirli ovunque il territorio
li chieda. Ma è chiaro che la Regione non può imporre un
parco se gli enti locali lo rifiutano. E qui, oltre al comune di Fano,
pesa anche la posizione della Provincia.
Dico questo non per polemica politica, ma perché occorre avere
chiaro il quadro attuale, quello da cui dobbiamo partire e con il quale
dobbiamo confrontarci se vogliamo rilanciare la proposta.
Ripartire dalla partecipazione
Provo a fare un ragionamento pensando alla vicenda del Parco della Foce
del Metauro, ma che può valere per ogni altra area da proteggere.
Un punto da cui ripartire, a mio avviso, sono i cittadini. Occorre attivare
la partecipazione attorno a questo obiettivo, cominciando con un processo
di informazione e sensibilizzazione. Ho l’impressione che in passato
questo aspetto sia stato carente, perché si è data priorità
alla discussione con le categorie organizzate e con i poteri pubblici.
Io sono sempre più convinto che i cittadini, sulle tematiche
ambientali, siamo ormai molto più sensibili di quello che pensiamo.
Lo dimostrano anche le lotte che si sono sviluppate in tutta Italia
negli ultimi anni, da Scanzano al Ponte di Messina, dalla Val di Susa
a tutte le altre vertenze che comprendono anche la questione delle biomasse
di Orciano. E sono lotte che sfuggono sempre di più alla logica
Nimby, alla difesa di posizioni personali, in cui i comitati che si
formano maturano una consapevolezza più ampia e inseriscono la
loro battaglia nel quadro di un interesse più generale.
La sfida dei movimenti ambientalisti deve essere quella di valorizzare
questa sensibilità e aiutarla ad esprimersi non solo quando c’è
da evitare un danno immediato, ma anche quando c’è da costruire
qualcosa di positivo che produce benessere o riduca il malessere in
tempi più lunghi. Il comitato per il parco urbano su questo investe
molte energie, occorre che anche per il parco del Metauro si segua la
stessa strada.
Parchi e territorio, laboratori di armonia
Per fare questo dobbiamo combattete un pregiudizio sui parchi. Spesso
i cittadini pensano ai parchi come a spazi chiusi, isole separate dal
resto del territorio, interdette ad ogni attività. Sappiamo che
questo non è vero, che sempre più i parchi sono pensati
come luoghi pienamente integrati nel territorio, dove si possono svolgere
attività di diverso tipo, dove la natura e l’essere umano
non sono due elementi da tenere separati, ma semplicemente da fare interagire
in un corretto equilibrio. Il parco come isola o come campana di vetro,
a mio avviso, è la sconfitta di chi persegue la sostenibilità
dei territori. Il parco deve essere il laboratorio di un diverso modello
di società, una società in cui si sperimenti che maggiore
attenzione per la natura vuol dire anche maggiore benessere per l’essere
umano.
Il territorio è un bene comune
In questo senso dovremmo pensare il parco come “bene comune”.
E’ sul concetto di bene comune che possiamo ricostruire un’idea
di società più equa e solidale, perseguendo quell’obiettivo
che orami anche gran parte della sinistra sembra avere abbandonato.
Quando si parla di beni comuni di solito ci si riferisce alle risorse
naturali, come l’acqua, l’energia, l’aria. Ma sempre
più spesso viene declinato anche su risorse più immateriali
come il sapere, la cultura, i legami sociali.
Il bene comune ci permette di recuperare un concetto antico quanto il
mondo. Infatti per tutta la storia dell’uomo gran parte delle
risorse sono state comuni e sono state gestite collettivamente, secondo
principi sociali condivisi. Questo finchè non è arrivato
il mercato con il suo portato di mercificazione e privatizzazione. La
risposta che storicamente si è cercato di dare è stata
quella dello Stato, contrapponendo al bene privato il bene statale.
Questo però in una società di mercato ha prodotto una
ulteriore distorsione perché lo Stato ha gestito i beni statali
quasi con la stessa logica del mercato stesso.
Tornare al bene comune significa superare la cultura mercantile e riportare
le persone, anziché il mercato, al centro del mondo. E’
un percorso lungo, che passa per il recupero di antichi saperi e competenze,
per una riorganizzazione sociale in cui ogni singolo cittadino è
chiamato alle proprie responsabilità e alla partecipazione, una
ridefinizione del mercato come accessorio che regola una parte marginale
della società.
Anche lo spazio, il territorio, il paesaggio devono essere vissuti come
beni comuni, sottratti al mercato, ma anche a dinamiche puramente istituzionali.
Devono essere gli abitanti i protagonisti e i principali garanti della
sostenibilità e del modello sociale del “luogo”.
Un parco può e deve essere un laboratorio di tutto ciò.
Per questo credo che non abbia solo un valore ambientale, ma un altissimo
valore politico e sociale. Per questo va ripresa la lotta e portata
avanti con fermezza, ma più nella società e tra la gente
che nei palazzi del potere.
Il parco non è una fabbrica
Nel fare questo dobbiamo guardarci da una possibile deriva. A volte
il ragionamento sui parchi come luoghi aperti e interagenti con il territorio
sono stati proprio la premessa per la loro sottomissione a logiche mercantili.
Così si è puntato tutto sul turismo, sulle strutture ricettive,
sull’offerta commerciale e il mercato dei prodotti.
Sono aspetti che possono avere una loro valenza, ma al centro deve esserci
un’altra idea, quella dell’autosostenibilità proposta
dalla scuola di pensiero territorialista di Alberto Magnaghi. Un luogo,
e un parco è un luogo, deve trovare prima di tutto in sé
stesso le risorse vitali, deve essere la dimensione in cui si ricuciono
le reti sociali che la globalizzazione e la logica mercantile hanno
disgregato, quelle reti fatte di scambio, di conoscenza e mutuo appoggio.
Sul piano economico significa che un parco può giocare la sfida
dell’economia su base locale, avviare un percorso in cui assuma
senso pieno il concetto di filiera corta, di produzione sostenibile,
di economia solidale.
Come esempio possiamo citare l’ottimo lavoro di Tonino Perna come
presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte, dove è
stata addirittura avviata la sperimentazione di una moneta locale, anche
se ha un valore più simbolico che reali ricadute economiche.
Riprendere la vertenza, riannodare le vertenze
A partire da questi concetti va costruita una grande campagna popolare
che parta dal basso, che coinvolga attivamente i cittadini e li porti
a riflettere sull’evoluzione sociale del territorio in cui vivono,
sulla necessità di mettere fine alla privatizzazione dei beni
comuni e alle speculazioni di ogni tipo, sulla prospettiva di una maggiore
qualità della vita e dell’ambiente.
Un primo passo, a mio parere, è creare un fronte comune. Negli
anni passati la battaglia per il parco urbano, la battaglia per il parco
del Metauro e le altre battaglie per la qualità urbana e del
territorio circostante sono rimaste troppo separate. E’ invece
necessario intrecciarle e fare fronte comune, occorre creare momenti
e possibilità in cui le diverse istanze possano incontrarsi,
confrontarsi e scoprire che le singole battaglie portano ad un punto
di vista comune. Si tratta di lavorare ad una sorta di programma condiviso
e partecipato, costruito con la città, e portarlo avanti nel
suo insieme, in maniera organica. In questo programma, il discorso dei
luoghi, delle aree protette, dei parchi di diverso tipo, deve rappresentare
un punto importante, strettamente intrecciato alla tutela del territorio
nel suo insieme.
A partire da questo convegno proviamo a darci nuovi appuntamenti, nuove
occasioni di confronto da cui possa prendere le mosse un movimento forte
e compatto che dica con forza che in questa città, in questa
vallata, su questo territorio, è possibile pensare e attuare
un modello sociale, economico e ecologico diverso da quello mercantile.
Michele Altomeni
Gennaio 2006